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Un proiettore BenQ, uno schermo grande, il buio, ecco lo spirito del cinema al Festival Trastevere Rione del Cinema

Nel novembre del 2012 alcuni giovani hanno occupato il cinema America di Trastevere, chiuso per fallimento dal 1999 e condannato ad un destino commerciale di appartamentini di lusso e parcheggi. Dopo mesi di ristrutturazione volontaria e aggregazione di quartiere e di formale impegno di Comune, Regione e Ministero della Cultura la vicenda ha avuto esito negativo nel settembre 2014 quando il cinema viene sgomberato. Ma nei mesi successivi l’Associazione Piccolo Cinema America non è stata a guardare e dopo essersi trasferiti nell’ex forno offerto in comodato da alcuni cittadini del quartiere ha organizzato, dal 2 giugno al 30 luglio, il Festival Trastevere Rione del Cinema, a piazza San Cosimato con 60 giorni di cinema gratuito sotto le stelle (qui il programma). Una serata passata in piazza trasformata in arena cinematografica mi ha fatto ritrovare lo spirito del mio cinema.
di Federico Rocchi
Che cos'è la luce, per il cinema? Se il cinema è immagine, la luce è evidentemente il fattore essenziale. Nel cinema la luce è idea, sentimento, colore, profondità, atmosfera, stile, racconto, espressione poetica.
Federico Fellini

La mia esperienza-cinema.

Le “arene” nell’estate romana ci sono sempre state, molti cinema avevano una loro versione estiva all’aperto. Sono cresciuto in un cinema di questi, il cinema parrocchiale Tibur di San Lorenzo e la sua arena che mi dava lo stesso effetto del ritorno a casa dopo le vacanze: stessa casa, stesse cose, ma tutto un po’ diverso. Era bello rinnovarsi e non trovarsi sempre nella solita sala buissima. Potendo scorrazzare a piacere fra platea, galleria e cabina di proiezione grazie al fatto che mio nonno era il “responsabile della biglietteria” ho del cinema, estivo e invernale, un’esperienza come infrastruttura, servizio pubblico alla costruzione e vendita di emozioni.
Oltre i fattori di produzione, dallo star&show business al linguaggio cinematografico culturalmente inteso, credo sia evidente l’importanza dell’ultimo fattore ri-produttivo, l’ambiente e le dinamiche dove la macchina delle emozioni si mette in moto e arriva a destinazione. La cabina di proiezione, dove un singolo uomo aveva il potere di gestire la sala come un dj, era il ponte di comando. Durante l’estate, quando la sala invernale con platea e galleria chiudeva per il caldo, mi affascinava l’idea che il cortile parrocchiale dove normalmente si giocava a palla potesse diventare un cinema vero, mettendoci sedie, buio, biglietti, bruscolini, fontanelle d’acqua ai lati delle sedute e il rimbombo della voce di John Wayne per tutta la piazza. Il proiettore a casa, l’indispensabile CineMax degli anni ’70 non mi dava lo stesso effetto nonostante ce la mettessi tutta per simulare un vero cinema. Con il passare degli anni una certa delusione. La parabola del cinema si è ridimensionata molto e nella mia città di Roma sono morte 42 sale con le loro differenze e le necessarie vicende per arrivarci ogni sabato o domenica entrate a far parte del ricordo del film. La scelta del film e del cinema erano un atto politico soprattutto quando a muoversi era un gruppo, la prima visione era un mondo, la seconda visione un altro mondo. Andare in un cinema del centro città, di prima visione, consentiva di poter parlare prima degli altri del film appena uscito e questo conferiva un certo costoso prestigio.

Le arene estive sono quasi finite nel dimenticatoio negli anni ’90 e 2000, nonostante siano state, a partire dal 25 agosto 1977, la spina dorsale dell’Estate Romana dell’indimenticabile assessore alla Cultura Nicolini, dove quattro schermi in contemporanea servirono anche per affermare la necessaria gratuità ed apertura a tutti della cultura popolare, cinema come cultura di e per tutti versus una letteratura chiusa nei salotti e un cinema che quarant’anni dopo è ancora inguainato in ridicoli “redcarpet”. Solo negli ultimi anni il concetto di cinema all’aperto nelle serate romane ha ripreso vigore, parallelamente all’inversione di tendenza circa l’uscita di nuovi film proprio d’estate che in Italia. Mentre nelle sale climatizzate arrivano nuove “pellicole” in contemporanea uscita internazionale (in Italia complice il mare il cinema sostanzialmente chiudeva come le scuole) si è riaffacciata la possibilità di rivedere o vedere i film dell’inverno appena passato o classici senza tempo all’aperto, a prezzo ridotto, in location alternative come l’Isola Tiberina, rinominata Isola del Cinema e da ultimo in piazza San Cosimato, il cuore di Trastevere, grazie all’associazione Piccolo Cinema America.


Una sera, a Trastevere, ritrovo il mio spirito del cinema.
E proprio a San Cosimato ho approfittato della proiezione del film “Palombella Rossa” di Nanni Moretti per rituffarmi alla fine degli anni ’80. L’occasione era particolarmente interessante per la presenza diretta del regista, uno sponsor politico dell’”occupazione americana” oltre che gestore del cinema Nuovo Sacher non molto distante. Insomma gli ingredienti per una serata diversa dal solito c’erano tutti e sono arrivato in piazza con un certo anticipo. Evidentemente non abbastanza. Nonostante le generose dimensioni degli spazi a disposizione, infatti, si poteva dire che “la platea era gremita in ogni ordine di posti”, al punto che finite le duecento sedie da giardino ufficiali il giovane pubblico aveva già cominciato ad occupare il lastrico, spinti anche dalla necessità di avere un appoggio al consumo di “birrette a go-go” (si fa per dire, erano tutte da 66 cl) pizze tonde e generi di conforto assortiti forniti dai negozianti della piazza (sponsor economici della manifestazione).
Cala il sole e si applaude al regista che appare in forma sotto lo schermo: finalmente vengo a sapere che i due tizi assillanti per tutto il film Apicella con dolci, torte e maldipancia non hanno nessun senso, né politico, né sociologico, semplicemente erano due attori che avevano bisogno di lavorare. Questa vacuità morettiana mi pare una conquista del duemila non da poco per un regista cult che la maggioranza dei presenti ha adottato a prescindere, come la maglietta del Che a partita abbondantemente finita con le ideologie già sotto la doccia. Ma in un attimo inizia il film e con il film la trasformazione dello spazio urbano. Una piazza così grande, difficile da azzittire, diventa subito quieta nonostante la quantità di persone sedute, in piedi, mangianti o mangiate, arroccate in finestra, coi pupi in braccio o col cane ai piedi. Ed è in questo momento che ritrovo, in una piazza di Roma dove migliaia di persone vivono veramente, non in uno spazio dedicato, lo spirito del cinema che avevo perso di vista trenta o quaranta anni fa. E mi chiedo da che dipende.

Non dall’ambiente. Una piazza aperta al pubblico non è nemmeno una “arena” in senso stretto. E’ tutto posticcio, provvisorio, eppure funziona lo stesso anzi, non solo funziona ma funziona molto meglio di tanti altri spazi in cui il cinema viene venduto professionalmente. Qui non si vende niente, non si paga un biglietto di ingresso al massimo si aderisce alla sottoscrizione proletaria, alla faccia dei “modelli di business”. La qualità audiovideo è sorprendente perché come è stato evidente ad inizio proiezione senza bisogno di andare a controllare non c’è nella cabina di proiezione un server da migliaia di euro ma soltanto un computer a leggere un disco DVD standard che sarebbe vietatissimo mostrare in pubblico secondo gli inquietanti messaggi iniziali, a dimostrazione di quanto i modelli legali di protezione dei contenuti siano obsoleti. Nonostante le sole 500 linee dello standard DVD (e rimediamo alla teorica perdita di incassi dovuta alla visione fuorilegge suggerendovi l’acquisto del tradizionale dischetto) si vede perfettamente. Lo schermo è luminoso e a fuoco, non ci sono tremolii, il quadro non è tagliato con mascherini sbagliati per coprire le magagne dei bordi sporchi (e sappiamo quanto Moretti sia intransigente su questo, seppur probabilmente ispirato da Il maschio e la femmina - Masculin feminin, 1966 - di Jean-Luc Godard), il telo pur provvisorio è teso su tutti e quattro i lati. Insomma i ragazzi dell’associazione Piccolo Cinema America hanno saputo realizzare da soli quello che nello spazio estivo della sovvenzionata Casa del Cinema a Villa Borghese manca vergognosamente, rendendomi consapevole che lo spirito del cinema vive soprattutto nella tecnologia del cinema invenzione dell’uomo, da quello che si vede e si sente: se lo schermo è davvero grande e si vede bene, se l’audio è rispettoso delle scelte del regista al pari del video, se l’ambiente è buio, indipendentemente dalla natura specifica dell’ambiente, allora ecco il cinema. 


Il BenQ PU9730 (o PW9620) usato al Festival.
I puffi sono optional
Insomma l’arena San Cosimato è davvero cinema grazie innanzitutto alla passione di chi muove una “macchina” giusta che a fine proiezione, ovviamente, mi precipito a controllare. Mi affaccio ad una delle finestre della cabina di proiezione, due metri per due, e trovo un proiettore Benq appartenente alla serie Auditorium. Anche se non hanno saputo dirmi esattamente il modello credo sia il BenQ PU9730, DLP con ruota colore a sei segmenti, risoluzione 1920 x 1200 (quindi con rapporto 16:10), luminosità 7000 ANSI con doppia lampada da 350 W e rapporto di contrasto 2800:1. Se non avessi visto con i miei occhi non avrei creduto che un proiettore in fondo così piccolo e non venduto per il “digital cinema” sarebbe stato sufficiente a proiettare un’immagine così luminosa ad una distanza di circa 40 metri, in un ambiente buio ma non completamente oscurato. Lo stupore è durato pochi secondi perché, in effetti, pochi mesi prima avevo fatto la stessa esperienza in casa e non ve lo avevo ancora detto. Ve lo dico qui, se avrete la curiosità di seguirmi e leggere il seguito.
 

Approfondimenti

  •  Maggiori informazioni sull’occupazione del cinema America nel tempo si possono ottenere qui. 

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